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Santayana, George.

Filosofo spagnolo di lingua inglese. Trasferitosi nel 1872 negli Stati Uniti, studiò con J. Royce e W. James a Harvard, dove insegnò dal 1898 fino al 1911, anno in cui fece definitivamente ritorno in Europa, soggiornando in Francia, Inghilterra e Italia. Nella sua prima opera sistematica, Vita della ragione (1905-06), che risente degli influssi di Platone, di Aristotele e della filosofia indiana, viene tracciata una storia del progresso umano intesa come storia dello spirito che emerge nella natura in tre distinti momenti (prerazionale, razionale e postrazionale). Successivamente, in diversi saggi, tra i quali i più importanti risultano essere Tre prove del realismo (contenuto nel volume collettivo Saggi sul realismo critico, 1920) e Scetticismo e fede animale (1923), S. si dedicò al problema della possibilità di una conoscenza oggettiva: al riguardo, dopo aver scartato sia la soluzione di Cartesio e Locke (in quanto in contrasto con i risultati della psicologia sperimentale) sia quella presentativa dei neorealisti americani (in quanto incapace di distinguere tra verità ed errore), egli adottò una prospettiva vicina al realismo critico che ripristina la distinzione tra essenza ed esistenza e riconduce alla prima la possibilità della conoscenza. Queste problematiche si saldarono nel corso degli anni con interessi più squisitamente ontologici, che trovarono espressione ne I regni dell'essere (1927-40), opera che si propone come un grandioso tentativo di giungere alla definizione dei caratteri possibili dell'essere. Quattro sono per S. i modi fondamentali e irriducibili dell'essere: essenza, materia (o esistenza), verità e spirito, questi ultimi due intesi rispettivamente come porzione finita dell'infinito regno delle essenze che l'esistenza esemplifica nella materia o nella mente e come luce della coscienza epifenomeno della natura vivente. Solo le essenze (immutabili, eterne, individuali) possono essere conosciute: non è, però, a tale conoscenza, razionale e, dunque, incarnazione di istanze pratiche, ma a una contemplazione pura che lo spirito si rivolge, trovando in essa la propria perfezione. Personalità dichiaratamente atea ma sensibile ai richiami mistici (L'idea di Cristo nei Vangeli, 1949), S. rigettò tanto l'individualismo romantico quanto l'egualitarismo democratico, mantenendosi sempre su posizioni aristocratiche in ambito politico-culturale, come testimoniano anche i suoi lavori Venti di teoria (1913) e Carattere e opinione negli Stati Uniti (1920). S. fu anche valente critico estetico (Il senso della bellezza, 1896) e discreto poeta (Sonetti e altri versi, 1894; Un eremita del Carmelo e altre poesie, 1901; Poesie, 1923) e romanziere (L'ultimo puritano, 1935-36) (Madrid 1863 - Roma 1952).